C’è voluta una pandemia per convincere le aziende a digitalizzarsi

Come sta andando il processo di digital transformation delle aziende italiane? Potremmo dire bene, ma non benissimo. L’adozione delle tecnologie fondanti – dal cloud all’IoT – sta crescendo, anche a seguito della pandemia, che ha costretto le aziende a innovare per sopravvivere. Spesso però i progetti di digitalizzazione vengono complicati da una serie di errori e problemi che hanno poca attinenza con la tecnologia in sé, e molta invece con le (scarse) competenze, dalla mancanza di una cultura e una mentalità digitali a questioni legate agli equilibri interi alle aziende stesse.

Capita, ad esempio, che il via ai progetti venga dato non per reali esigenze di business, magari identificate da una preventiva analisi dei processi aziendali e del mercato, ma semplicemente per accedere ad aiuti di Stato, fondi europei, o sgravi fiscali. C’è poi un secondo problema, di approccio, legato alle carenza di competenze e di visione: le principali tecnologie coinvolte nella digitalizzazione – in particolare cloud, edge e Industrial IoT (IIoT) – vengono viste come silos separati e non come sono in realtà, ovvero parti intercomunicanti, utilizzabili sì singolarmente, ma capaci di dare il meglio quando messe a sistema. La terza difficoltà che ci si trova davanti quando si avvia un progetto IIoT/cloud che, necessariamente, deve coinvolgere sia la componente Ot che la componente It dell’azienda, è quella dei possibili “conflitti” fra staff It e staff Ot, fra cio e direttore di produzione.

Probabilmente è proprio questo errore di approccio, questo “digitalizziamo per usufruire degli aiuti di Stato”, che ha alimentato quel “limbo dei progetti mai completati” del quale parlano molti analisti. A cambiare invece le carte in tavola è stata la pandemia, che purtroppo ci ha costretti a modificare le nostre abitudini di vita; questo ha comportato anche un differente approccio verso la tecnologia da parte di tutti, persone e aziende. Le percentuali di utilizzazione di tecnologie digitali sono cresciute sensibilmente nell’ultimo anno. Se nell’era pre-Covid19 il cloud era entrato solo nel 6% circa delle aziende italiane, oggi oltre un terzo di queste lo utilizza in una qualche forma, se non altro per consentire il lavoro da remoto. Pressati però dalla necessità di ripartire nel più breve tempo possibile, l’adozione del cloud nel 2020 ha seguito quasi sempre tempi e criteri emergenziali, quindi in assenza di un progetto a lungo termine e di largo respiro, che contemplasse fin dall’inizio possibili espansioni e connessioni con altre funzioni e processi aziendali oltre il semplice telelavoro.

Passando poi a considerare la diffusione di un’altra tecnologia di base, quella dell’Industrial IoT, vediamo che il livello di adozione è ben diverso a seconda che consideriamo le grandi imprese o le Pmi. A fronte di un 97% di grandi imprese che conoscono la tecnologia e di un 56% che la adotta, nelle Pmi i due valori sono fermi rispettivamente al 39% e 13% (dati dell’Osservatorio del Politecnico di Milano). Un dato questo che ci porta ad affrontare un altro tema, più legato alla comprensione della tecnologie, delle loro interconnessioni, ma anche alla rigidità nel riconsiderare i modelli di business. Molte aziende vedono IIoT e cloud come realtà completamente separate, se non addirittura come mondi contrapposti, e magari ne adottano una senza tener conto della futura adozione dell’altra. Diventa così difficile sfruttarne pienamente i vantaggi, specie in termini di sinergie, che ne moltiplicano l’efficacia.

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